IL CORSO VOCE IN EQUILIBRIO SI TERRA' PRESSO LE SEDI DEL TEATRO BRANCACCIO - SPAZIO IMPERO - ROMA
Fino a venti anni fa, parlare ai maestri di arti performative italiani di “medicina dell'arte dello spettacolo” suscitava, se non altro, dubbj, a volte anche leciti. In ambiente medico e accademico la situazione era, invece, terribile e difficile da gestire rasentando la (feroce) reticenza da parte dei “luminari”.
Ancora ricordo come certi otorinolaringojatri, foniatri, ortopedici, fisiatri e nondimeno logopedisti e fisioterapisti mi guardavano e quanto riuscissero a storcere il naso allorché ai Convegni ne parlavo e, fin dai primi lavori a stampa, ne scrivevo e, ancor più, quando nel 2005 sorse il CEIMArs.
Oggi le cose sono cambiate. Tanti tra coloro – clinici o didatti – che hanno seguito il modus della cosiddetta Performing Arts Medicine applicandolo alla clinica e/o alla didattica hanno trovato il proprio “posto” e il proprio “senso” nei personali contesti di vita e lavoro e hanno, a propria volta, elaborato percorsi e strategie per vivere di arte e di medicina in-sieme.
Sia che ci si riferisca ai clinici sia che si volti lo sguardo verso gli artisti, negli ultimi 15 anni tutti abbiamo (sia chiaro: non ancora pienamente) viepiù compreso come sia importante, quando si parla di “Medicina delle Arti dello Spettacolo”, un approccio interdisciplinare più che uno multidisciplinare.
Con detta “inter-disc-iplinarità”, il lavoro del clinico e quello del didatta non sono mai nojosi perché immergersi nelle Performing Arts con modalità e finalità di interplay (però mai cadendo nel vuoto olismo) è eccitante: genera, silenziosamente e umilmente, idee, percorsi, cadute, slanci e... successi per l'artista che si affida a noi e per noi stessi.
Soltanto un clinico che di arte sia impastato nelle midolla e da essa sia stato forgiato giorno dopo giorno da una vita potrà andare oltre gli eventuali segni e sintomi jatrotropi scarni del paziente per comprendere il perché e il come e il recipe di un impairment che altri non vedono – perché guardano altrove o con lenti non idonee o senza l'ajuto che la formazione fatta in-sieme (e non separatamente) con gli artisti riesce a dare – ma c'è e può portare a disability che (per un artista) è fatale.
Parimenti soltanto un insegnante di arti dello spettacolo che sappia entrare in modo altro e audace e non soltanto percettivo nell'allievo – grazie alla formazione fatta in-sieme al clinico, ovviamente con altri fini (mai diagnostici o terapeutici in senso stretto) – può individuare in lui segni e sintomi di qualcosa che al clinico può sfuggire ma al “didatta illuminato dalla Performing Arts Medicine” no e su cui, in accordo con il team sanitario (le cui direttive devono restare sempre vincolanti), può iniziare a lavorare per velocizzare l'outcome.
Un “didatta rischiarato dalla luce della Medicina delle Arti dello Spettacolo” può, infatti, affiancare il riabilitatore – nei modi che ben ho spiegato in molti lavori a stampa cui rimando – per ottimizzare il recupero di un artista giustappunto attraverso la sua e la propria arte e non attraverso quella (quand'anche clinica) dell'altro cioè del sanitario. Spesso, minore medicalizzazione coincide con 'maggiore guarigione'. I medici e gli “scienziati della riabilitazione” hanno un ruolo preciso e non sostituibile da alcun'altra figura; al loro fianco, però, maestri di arti dello spettacolo preparati a interloquire con loro possono spesso permettere di... adire l'oltre sia nell'àmbito diagnostico sia in quello terapeutico, entrambi ampiamente intesi.
Nel 2005, a formare lo sparuto drappello dei “paladini della prima ora” c'era pure proprio un giovanissimo Fabio Lazzara; è stato lui a chiedermi di potermi seguire (in ambulatorio, nelle conferenze e in scena); lo ha fatto letteralmente 24 ore al giorno per mesi interi. A sue spese, in tutti i sensi intese. Aveva capito che solamente stando a fianco ad operaj della medicina e insieme del palcoscenico qualcosa di nuovo sarebbe potuto accadere; così è stato: nel suo cervello – già ricco di idee e di informazioni e di arte – qualcosa iniziò ad assumere, se non altro, un “senso nuovo” che è riuscito a “trasferire”, piano piano ma ineluttabilmente, nella didattica. Egli la vede ora non soltanto come una lezione di canto “generica” ma come un momento di “potenziamento (o depotenziamento) sano di qualità performative che deve essere svolto nel rispetto della specifica particolarità della persona per renderla sempre sicura di ciò che porta a salute e ciò che conduce a perderla. Tutto ciò senza modificarne le esigenze intime dell'anelito artistico originario e originale”.
È da qui,da Fabio Lazzara e Ivan Lazzara che, dopo 15 anni, oggi viene fuori questo progetto didattico nel quale mi si chiede di svolgere il “ruolo” di “responsabile scientifico” quasi un “padrino” di un battesimo professionale festoso.
Da innamorato del silenzio, delle Arti e della medicina dello spettacolo, rifuggo dai titoli e dalle dimostrazioni di encomio nonché dalla celebrazione dei metodi e dei marchj imposti un giorno sì e uno no, nel mondo delle Arti, da medici o da artisti a loro (e, a volte, ahimè, altrui) idee più o meno intelligenti e fruttuose (in senso di didattica e di salute).
Ciò nonostante, non posso nascondere che provo una certa qual emozione a poter presentare questo percorso di consapevolezza abilitativo-riabilitativa tutto da scoprire anche per me ma che voglio intendere (e vorrei tutti intendeste) non come quello verso l'ottenimento di un attestato abilitante alla professione di un metodo o come uno dei tanti che promette di proporre soluzioni a tutti i problemi dell'artista (non rispettando ruoli professionali ben definiti – anche dal legislatore – per il bene della persona) o come uno dei mille in Italia che “parlano” di voce affiancando testimonials separati.
I docenti scelti autonomamente da Fabio Lazzara e Ivan Lazzara non sono stati, infatti, chiamati a insegnare “arti della voce” o “medicina della voce”.
Del resto, nella realtà, la Medicina delle Arti dello Spettacolo è una branca della medicina (utile anche alla didattica di esse) e del sapere enormemente differente dalle altre quali foniatria (anche “artistica”), fisiatria (anche “artistica”), medicina dello sport, fonopedìa, didattica del canto lirico, vocal coaching etc. Purtroppo ancora oggi serve ribadirlo in una Italia che preferisce dividersi un po' dovunque in fazioni rassicuranti, alla ricerca di un potere (economico, comunicativo, sanitario e politico) che porta, però, a vuotezza ed ancora maggiore ignoranza.
“Voce in equilibrio” mi pare una proposta (credo onesta) di percorso (credo serio) di consapevolezza abilitativo-riabilitativa da fare in-sieme, appunto in equi-librio (credo anche in senso sociale e clinico), partendo tutti dal principio che per “vedere”, “trattare” e “curare”
curare nel senso di to care e di to cure; ognuno deve (continuare a) farlo nei modi che le conoscenze, le competenze e le leggi autorizzano a sfruttare
gli artisti (non soltanto della voce) serva approcciarvisi alla luce della medicina dell'arte cioè, in definitiva, guardando “al di là dell'epifenomenico e del settoriale” anche quando ci si rivolga soltanto a una Arte specifica o soltanto al professionista della voce artistica.
Sono sicuro che l'insegnante di danza, di strumento, di acrobatica, di arti della voce etc. così come il clinico che vorrà fare – insieme ai fratelli Lazzara e al bel gruppo di trainers da loro individuato – questo cammino di consapevolezza abilitativo-riabilitativa utile alla didattica (e al miglioramento dell'integrazione delle figure pedagogiche con le sanitarie) potrà, alla fine, avere gli strumenti almeno per comprendere bene i bisogni e i linguaggj (non sempre facili) dell'artista e contestualmente le esigenze di quel clinico che di artisti si occupi davvero a 360°; tutto ciò non per fregiarsi dell'ennesimo titolo (spesso inutile persino quando rilasciato dall'Accademia) ma per il bene dell'allievo e del paziente.
Ai tanti che, come noi – sono sicuro – si innamoreranno, grazie a questo percorso, dell'approccio abilitativo-riabilitativo all'artista alla luce della Medicina delle Arti dello Spettacolo, auguro che questo sia soltanto l'inizio di un nuovo modo di pensare e di essere, per ottenere, in-sieme, sempre maggiore Bellezza e Benessere e Salute nella vita ordinaria e nella artistica (sia le personali sia quelle della microsocietà con cui ci si relaziona). Nel mio credo, è sanando queste che si può sperare di curare anche la società che fa paura in quanto macro-scopica e macro-ferita. Lo dico da sempre: è l'arte sana l'arma speciale che può ajutarci più velocemente e duraturamente a salvarci, salvarle e salvare.
Agrigento, 02-02-2020 Alfonso Gianluca Gucciardo